Tendinite? Tendinosi? Che succede al mio tendine rotuleo?

Più che un post si tratta di una digressione sulle tendinopatie. Ci si sofferma su quelle quadricipitali e rotulee, con una visione generale delle cause e del nuovo modello di categorizzazione. Approfondisci adesso, perché solo chi sa può davvero scegliere, altrimenti crede di scegliere

Luca Prada, Fisioterapista

11/25/202311 min read

Ma quindi come si fa a capire in quale stadio di lesione si trova un tendine?

I ricercatori come Cook hanno scoperto che il dolore al tendine è principalmente un sintomo della fase reattiva. Perciò, se attualmente si avverte un dolore al tendine rotuleo o quadricipitale, è possibile classificare la lesione in un modello ancora più semplice a due fasi: tendinopatia "reattiva" o tendinopatia "reattiva al deterioramento/degenerazione". (4) Supponiamo che sia la prima volta che si avverte un dolore al tendine rotuleo. Il giorno dopo un allenamento molto impegnativo, il tendine fa così male che siete costretti a zoppicare. Trattandosi di un episodio acuto (nuovo di zecca) di dolore al tendine, è probabile che si tratti del primo stadio della tendinopatia reattiva.

Tuttavia, diciamo che non è la prima volta che avvertite un dolore al tendine rotuleo. Avete avuto una piccola riacutizzazione l'anno scorso e un'altra qualche mese fa. Avete preso qualche settimana di riposo e il dolore alla fine è scomparso, ma continua a ripresentarsi. Data la natura cronica di questi sintomi, è probabile che si tratti di un caso di tendinopatia reattiva da deterioramento/degenerazione.

Quando un tendine subisce continui episodi di sovraccarico, può iniziare la degenerazione, ma non è che l'intero tendine vada a “morire”. Se si guarda in profondità in questo tendine, si notano piccole "isole" di tessuto collagene degenerato disperse tra il tessuto tendineo sano. Ebbene, queste parti degenerate non sono in grado di sopportare il carico, perdendo la resistenza alla trazione e la capacità elastica, il che le rende "meccanicamente sorde", come le descrive Cook. (9) Pensate a queste isole di fibre degenerate del tendine rotuleo o quadricipitale come ai buchi nelle ciambelle. I buchi sono circondati da tessuto sano. Tuttavia, la ricerca ha dimostrato che il corpo si adatta e fa "crescere" altro tessuto tendineo normale intorno a questi punti morti nel tentativo di recuperare la forza perduta. (10) Come già detto, questi "buchi" degenerati nel tendine non provocano dolore. (4) È solo quando la porzione di tessuto sano circostante viene sovraccaricata e passa alla fase reattiva (esattamente come farebbe un tendine perfettamente sano) che il dolore può svilupparsi in un tendine degenerato. Ecco perché una persona può avere un tendine molto degenerato senza avvertire alcun sintomo di dolore. (11)

Un buon modo per distinguere tra dolore reattivo al tendine “sano” e dolore reattivo al tendine in degenerazione (oltre ovviamente all'anamnesi) è valutare:

1. L'intensità del dolore

2. L'esatto meccanismo che ha scatenato la lesione

3. Il tempo necessario per recuperare.

Un esempio? Un tendine veramente reattivo è molto doloroso e gonfio. Viene innescato da un grosso sovraccarico, come una sessione di allenamento estremamente pesante con esercizi pliometrici come i Box Jumps.

Dall’altra, un tendine reattivo in fase di degenerazione può essere innescato da un sovraccarico molto meno drammatico e spesso non è accompagnato da un forte gonfiore. Il dolore di questa particolare tendinopatia può risolversi in pochi giorni con un adeguato riposo, mentre i tendini veramente reattivi possono richiedere dalle quattro alle otto settimane per guarire. (9)

Capire in quale fase ci si trova influisce notevolmente sulla gestione dell'infortunio.

Bibliografia:
  1. S. D. Rosengarten, J. L. Cook, A. L. Bryant, J. T. Cordy, J. Daffy, and S. I. Docking, “Australian football players’ Achilles tendons respond to game loads within 2 days: an ultrasound tissue characterization (UTC) study,” British Journal of Sports Medicine 49, no. 3 (2015): 183–7

  2. J. Cook, E. Rio, and S. Docking, “Patellar tendinopathy and its diagnosis,” Sports Health 32, no. 1 (2014): 17–20

  3. K. M. Khan, N. Maffulli, B. D. Coleman, J. L. Cook, and J. E. Taunton, “Patellar tendinopathy: some aspects of basic science and clinical management,” British Journal of Sports Medicine 32, no. 4 (1998): 346– 55

  4. J. L. Cook, E. Rio, C. R. Purdam, and S. I. Docking, “Revisiting the continuum model of tendon pathology: what is its merit in clinical practice and research?” British Journal of Sports Medicine 50, no. 19 (2016): 1187–91

  5. H. Alfredson and J. Cook, “A treatment algorithm for managing Achilles tendinopathy: new treatment options,” British Journal of Sports Medicine 41, no. 4 (2007): 211–6

  6. J. L. Cook and C. R. Purdam, “Is tendon pathology a continuum? A pathology model to explain the clinical presentation of load-induced tendinopathy,” British Journal of Sports Medicine 43, no. 6 (2009): 409– 16

  7. M. Kongsgaard, V. Kovanen, P. Aagaard, S. Doessing, P. Hansen, A. H. Laursen, N. C. Kaldau, M. Kjaer, and S. P. Magnusson, “Corticosteroid injections, eccentric decline squat training and heavy slow resistance training in patellar tendinopathy,” Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports 19, no. 6 (2009): 790–802

  8. A. Scott, Ø. Lian, R. Bahr, D. A. Hart, and V. Duronio, “VEGF expression in patellar tendinopathy: a preliminary study,” Clinical Orthopaedics and Related Research 466, no. 7 (2008): 1598–604

  9. J. Cook, podcast interview, November 5, 2018

  10. S. I. Docking, M. A. Girdwood, J. Cook, L. V. Fortington, and E. Rio, “Reduced levels of aligned fibrillar structure are not associated with Achilles and patellar tendon symptoms,” ClinicalJournal of Sport Medicine, July 31, 2018, Volume Publish Ahead of Print - Issue

  11. E. K. Rio, R. F. Ellis, J. M. Henry, V. R. Falconer, Z. S. Kiss, M. A. Gridwood, J. L. Cook, and J. E. Gaida, “Don’t assume the control group is normal —people with asymptomatic tendon pathology have higher pressure pain thresholds,” Pain Medicine 19, no. 11 (2008): 2267–73

  12. A. Rudavsky and J. Cook, “Physiotherapy management of patellar tendinopathy (jumper’s knee),” Journal of Physiotherapy 60, no. 3 (2014): 122–9

Quando si tratta di capire il dolore al tendine rotuleo ed a quello quadricipitale, le cose si complicano un po’. Cominciamo con un po' di anatomia.

Cos’è un tendine? Si tratta essenzialmente di una fascia di tessuto fibroso che collega il muscolo all'osso. Il tendine rotuleo va dalla rotula alla tuberosità tibiale (la parte ossea prominente della tibia). Sopra la rotula si trova un'altra fascia di tessuto fibroso, il tendine del quadricipite (o quadricipitale), che si collega ai diversi e forti ventri muscolari del quadricipite, i vasti. Questi due tendini lavorano assieme per riuscire ad assorbire e rilasciare un'enorme potenza per movimenti come il salto. Possiamo pensare al loro lavoro proprio come ad una molla.

Ogni giorno i tessuti del corpo - muscoli, tendini e persino ossa - sono in costante stato di cambiamento. Ogni volta che si sottopone il corpo ad un allenamento, lo si sottopone ad uno stress, ed i tessuti si rompono e poi si rigenerano. Col tempo, questo processo naturale di ricostituzione dei tessuti permette di costruire la forza muscolare, quella tendinea ed anche la densità ossea. Da notare che il processo può essere anche inverso! Ovvero, se i tessuti non vengono sottoposti ad uno stress allenante, essi si indeboliscono, riducendo la loro capacità di carico.

Nei tendini, questo processo è in gran parte controllato da piccole cellule chiamate tenociti, disperse tra fibre allineate di collagene. I tenociti reagiscono alle forze e ai carichi imposti al tendine e adattano di conseguenza la composizione cellulare del tessuto (la matrice extracellulare). A seconda di diversi fattori, come l'intensità degli allenamenti svolti negli anni, i farmaci assunti e l'eventuale presenza di diabete, il corpo avrà adattato il tendine ad una determinata “forza”, meglio vista come capacità di carico.

Tutti i carichi, di vita quotidiana o di allenamento, che non superano questo livello di tolleranza creano una risposta cellulare positiva nel tendine. Questo inizierà un processo di ricostruzione che tornerà alla normalità più forte di prima in due o tre giorni, se il recupero è adeguato (1). Tuttavia, se il carico imposto al tendine è troppo elevato o se il recupero non è sufficiente o adeguato, questo equilibrio andrà incontro ad alterazione e il processo passa così da adattativo a patologico. Scocca una scintilla e inizia il processo di lesione.

Si è visto come i giovani atleti (di età inferiore ai 30 anni) di sport che richiedono movimenti esplosivi e ripetitivi del ginocchio sono i più suscettibili di sviluppare una lesione al tendine quadricipitale e/o rotuleo. Infatti, i movimenti che utilizzano i tendini del ginocchio come molla, come ad esempio il salto o i cambi di direzione, li sottopongono ad un carico significativamente maggiore rispetto a un movimento più lento, come uno squat. Questo è il motivo per cui sport come la pallacanestro e la pallavolo, che prevedono molti salti, hanno un'incidenza così alta di questa lesione, da cui il termine "ginocchio del saltatore".

È inoltre molto interessante notare come ai corridori di lunga distanza è raro che venga diagnosticata una tendinopatia a livello anteriore del ginocchio, perché non sembra sussistere sufficiente carico sul tendine tale da generare dolore. Al contrario, i salti (doppi e singoli) sollecitano molto il tendine rotuleo. (2)

Dei due tendini fin qui menzionati, il tendine rotuleo è quello più comunemente lesionato, ma in realtà entrambi contribuiscono al dolore anteriore di ginocchio anche in sport come il sollevamento pesi e il CrossFit, a causa delle elevate forze che vengono sostenute durante i movimenti balistici ripetitivi come lo Snatch ed il Clean, oltre ai movimenti esplosivi senza pesi come i Box Jumps.

Storicamente, le lesioni ai tendini sono state distinte in due categorie: tendiniti e tendinosi. (3) La desinenza -iti si riferisce a una lesione acuta causata da infiammazione. La desinenza -osi indica tradizionalmente che il problema è dovuto al deterioramento ed all'indebolimento del tendine. I medici usano spesso il termine “tendinite” quando si riferiscono ad un infortunio doloroso recente e “tendinosi” quando si riferiscono a lesioni tendinee più croniche.

Tuttavia, la ricerca scientifica recente ha messo in discussione l'idea che l'infiammazione comunemente riscontrata in concomitanza al dolore tendineo sia la causa principale della lesione e del dolore. (4) Inoltre, i principali ricercatori (cfr. Jill Cook) nel campo dei disturbi tendinei ritengono che tendinite e tendinosi non si escludano a vicenda, ma siano parti diverse dello stesso processo di lesione. Proprio per questo, quando si parla di lesioni tendinee si consiglia di utilizzare il termine “tendinopatia” piuttosto che, appunto, tendinite o tendinosi.

Jill Cook ha recentemente trovato un modo molto pratico e comodo per capire come si verificano le lesioni tendinee: il Continuum of Tendon Pathology. (4) Questo modello descrive una sequenza di tre fasi di lesione che, come dice il nome stesso, sono in “continuum”:

- Tendinopatia reattiva (Reactive Tendinopathy)

- Disgregazione tendinea (Tendon Disrepair)

- Tendinopatia degenerativa (Degenerative Tendinopathy)

Purtroppo, la progressione da uno stadio all'altro è accompagnata da una capacità sempre minore di recuperare lo stato di salute precedente.

Come abbiamo visto prima, quando si è esposti a un sovraccarico di qualsiasi natura, si verifica una risposta esagerata a breve termine delle cellule che compongono il tendine. Scendendo nei tecnicismi, piccole proteine (chiamate proteoglicani) invadono la matrice extracellulare, causando il gonfiore e il dolore al tendine. Anche in questo caso, il gonfiore non è causato dall'infiammazione: un motivo importante per cui il ghiaccio e il riposo da soli non risolvono l'infortunio! (5) Ma come si verifica esattamente questo sovraccarico? Beh, se prevenire le lesioni ai tendini fosse davvero semplice come dire “Non sollevare più di un tot di peso” o “Non fare quel gesto più di un tot di volte”, come mai alcuni atleti d'élite possono allenarsi due volte al giorno per diverse settimane senza sviluppare dolore, mentre una persona comune può incappare in questo infortunio dopo essersi allenata solo qualche giorno per poche settimane? Tutto dipende dall'individuo e dalla relativa capacità di carico dei suoi tendini.

Lasciatemi spiegare meglio, il corpo umano fa un lavoro straordinario di adattamento alle sollecitazioni che gli vengono applicate. A seconda del tipo e della quantità di stress, le cellule dei nostri tendini possono rispondere positivamente o negativamente. In risposta a carichi di allenamento accettabili, i nostri tendini diventano più forti aumentando la loro rigidità. Un atleta d'élite che esegue ogni giorno allenamenti esplosivi e pesanti con il bilanciere, con un riposo minimo, può farlo perché ha condizionato i suoi tendini per anni a sopportare alti livelli di stress. Sottoponendo regolarmente i loro tendini a questi carichi mediante programmi di allenamento adeguati, questi atleti sono in grado di aumentare il livello di tolleranza al carico dei loro tendini.

Se uno sportivo relativamente poco allenato cerca di eseguire lo stesso allenamento di un atleta d'élite, può innescare una fase "reattiva" dell'infortunio, ovvero una risposta esagerata a breve termine delle cellule dovuta al sovraccarico inaspettato. Questo scenario comune si verifica quando gli sportivi si sottopongono a una sessione di allenamento estremamente dura o passano da un programma di allenamento di tre giorni a settimana ad uno di cinque o sei.

La scintilla che fa scattare la fase reattiva per un principiante può verificarsi anche in un atleta d'élite, ovviamente! Se un atleta in grado di tollerare un carico elevato giorno dopo giorno si prendesse una lunga pausa dall'allenamento (ad esempio di due o più settimane) e tornasse poi immediatamente ad un programma di allenamento relativamente normale (il termine "normale" è relativo a ciò a cui era abituato), sottoporrebbe i suoi tendini a una quantità significativa di stress inaspettato. Questo perché i tendini si sarebbero in qualche modo decondizionati durante la lunga pausa, adattando i tessuti a un livello di capacità di carico inferiore.

Come dicevamo, non esiste un peso o un numero di ripetizioni prestabilito di un esercizio che scateni automaticamente questa tendinopatia reattiva. Bisogna “semplicemente” stabilire se la capacità di carico dei tendini di un individuo è stata superata o meno. In sostanza, qualsiasi carico inaspettato sul tendine può scatenare una reazione e il tendine può quindi ispessirsi nel tentativo di gestire lo stress. (6) In questo caso, l'atleta può avvertire dolore e un piccolo gonfiore intorno al tendine.

La cosa positiva è che questo processo è facilmente reversibile, se gestito correttamente. I ricercatori ritengono che i tendini reattivi possano tornare al loro normale stato di salute nel giro di poche settimane, se il carico di allenamento iniziale viene ridotto in modo significativo e se si adottano misure di riabilitazione adeguate. (6) Tuttavia, se ci si continua ad allenare oltre questo punto di reattività, il tendine entrerà in una fase di deterioramento, ed infatti continuerà ad ispessirsi nel tentativo di guarire. I ricercatori hanno scoperto che questo processo di riparazione esagerato può far raddoppiare lo spessore del tendine rotuleo (da circa 4 a 8 millimetri) come risposta protettiva!! (7) Se avessimo una lente di ingrandimento vedremmo che, in reazione al continuo sovraccarico, un numero sempre maggiore di proteoglicani inonda la matrice extracellulare e richiamano acqua, la quale inizia a disgregare i pilastri architettonici (il collagene) che costituiscono il tendine. A questo punto, si assiste anche alla crescita di nuovi vasi sanguigni e nervi nel tendine, che possono contribuire a generare il dolore. (8) Se non si interviene in questo momento per curare la lesione, il collagene disorganizzato inizia a rompersi ulteriormente e a morire quando si entra nella terza fase del Continuum di Cook, la degenerazione. Purtroppo, è molto difficile capire se un tendine è danneggiato ed ancor meno distinguerne la fase di processo patologico. Infatti, come se non bastasse, potreste anche non accorgervi che il vostro tendine è passato al terzo stadio, perché la parte degenerata del tendine non provoca dolore.

I soggetti affetti da tendinopatia rotulea lamentano in genere indolenzimento e dolore nel punto di connessione tra la rotula e il tendine rotuleo, ovvero il polo inferiore della rotula. Si può anche avvertire dolore nel punto in cui il tendine rotuleo si attacca alla tibia (la famosa tuberosità tibiale). (12) Di solito non si avverte dolore al centro del tendine rotuleo, a meno che non si abbia subito un colpo diretto al ginocchio (come ad esempio l'urto del ginocchio contro uno spigolo). I soggetti affetti da tendinopatia del quadricipite accusano dolore ed indolenzimento nel punto di connessione tra la rotula e il tendine del quadricipite, chiamato polo superiore della rotula.

Inizialmente, la maggior parte delle persone riferisce di avvertire un dolore sordo nella parte anteriore del ginocchio dopo un allenamento intenso. Le persone che hanno questa lesione in genere avvertono un dolore che peggiora con l'aumentare del carico sul ginocchio (ad esempio, un salto ripetitivo con rincorsa provoca più dolore di uno squat lento senza sovraccarichi). Si tratta del famoso “load-related pain”, ovvero dolore carico-dipendente.

È infine interessante notare che i tendini rotulei e quadricipitali sono sottoposti a un carico notevolmente maggiore in uno squat molto profondo, in cui il ginocchio deve spostarsi in avanti rispetto alle dita dei piedi. Per questo motivo, una persona con una lesione tendinea può lamentare dolore durante uno squat con carico, ma solo nella parte inferiore dell'alzata. Ad esempio nella posizione di “catch” di un Clean o di uno Snatch.

Le tendinopatie anteriori di ginocchio

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